SALA ROSA ANTICO
pubblicazioni di DOCUMENTI/ RACCOLTE/ APPROFONDIMENTI/ TESTIMONIANZE
dell'Associazione Culturale Quintiliano

giovedì 17 febbraio 2011

Il film di Saverio Costanzo visto con i nostri occhi

LA SOLITUDINE DEI NUMERI PRIMI
recensione di Dario Coppola

Nella matematica, mentre un numero maggiore di 1 che abbia più di due divisori si dice composto, un numero naturale maggiore di 1 che sia divisibile solo per 1 e per se stesso si dice un numero primo. 
Si definiscono poi numeri primi gemelli due numeri primi che differiscono tra loro di due. Fatta eccezione per la coppia (2, 3), questa è la più piccola differenza possibile fra due primi (esempi di coppie di primi gemelli: 5 e 7, 11 e 13, e 821 e 823). 
Per sua natura un numero primo è solo, ma può avere un gemello. Così com'è per il protagonista del romanzo di Paolo Giordano, e del film di Saverio Costanzo, Mattia. Si è parlato non troppo bene del film, e molto meglio del romanzo. Anche se non è da me condivisibile quanto detto nel trailer del film sul fatto che il libro abbia appassionato tutte le nuove generazioni, lo ritengo un bel romanzo e, a mio avviso, anche il film è molto bello, peraltro sceneggiato dallo stesso Giordano insieme a Costanzo. Di lui già avevo apprezzato Private (2004) e In memoria di me (2007).
Troviamo nel film un sound, che richiama atmosfere gotiche come quelle dei Goblin in Profondo rosso di Dario Argento, e una città, Torino, già scelta proprio per il suo film da Argento stesso avvolta da Costanzo, in un'autunnale pioggia dal fascino irreale e inquietante, finché non si diradano le nubi dell'oblio.
Al di là della simbologia della matematica, che campeggia nel romanzo e un po' meno nel film, sono rimasto attratto dall'aria enigmatica della sceneggiatura, e colpito da due elementi: lo sguardo vitreo, che si evidenzia particolarmente nell'espressione dei due attori che rappresentano Mattia adolescente e adulto; i giochi di campo, realizzati dalla cinepresa in modo da rendere sfocato lo sfondo in alcuni momenti fondamentali. Mattia è inquietante, spaventa anche la sua stessa madre. Nella caligine della mia mente sono affiorati l'immagine del perturbante di Freud, che emerge da racconti quali L'uomo della sabbia (Der Sandmann) di E.T.A. Hoffmann del 1815, e il ricordo della Gradiva di Wilhelm Jensen, libro che tratta di un bassorilievo, raffigurante una donna pietrificata dalla lava di Pompei, il quale risveglia nel ricordo dell'archeologo, personaggio maschile di questo racconto del 1903, la donna rimasta pietrificata nel suo inconscio. Alice, protagonista femminile del film, è ambigua o ambivalente: è l'alter ego di Mattia. E' però soprattutto l'alter ego di Michela, la gemella di Mattia.


Alice viene rappresentata pallida e problematica, anche sola, come un numero primo.
Nello shakerare le tre età (infanzia, adolescenza, maturità) a un certo punto - culminante - del film giunge la scena risolutrice dell'enigma ove s'incontrano i due elementi di cui parlavo:
il gioco di campo, con la messa a fuoco, che rivela ad Alice - nel quadro di famiglia - la gemella di Mattia, ossia Michela, la quale ha anch'essa uno sguardo vitreo: i suoi occhi sono fissi, grossi, troppo grossi. Sono gli stessi di Mattia, dopo la tragedia, all'inizio della sua adolescenza, da quando lo si vede entrare in classe sino alla fine del film. Gli attori che interpretano i due gemelli da piccoli non erano segnati dalla tragedia. Nel quadro di famiglia sono invece impressi quegli occhi, che rivelano la vera storia di Mattia e la presenza di quella donna che è rimasta pietrificata in lui e che Alice scopre. Alice è simbolo sia di Michela, per Mattia, sia di se stesso, inscindibile dalla gemella anche dopo la di lei scomparsa. Alice è dunque la fotografia di Michela e Mattia stessi: non a caso fa la fotografa.
Alice, perciò, è androgina riproducendo sia Michela sia Mattia, come si vedrà nell'allucinazione dal fruttivendolo; il rapporto tormentato con Viola, che preludeva anche a un amore omosessuale, sarà superato dalla realtà, ancora una volta fotografata da Alice, nella quale Viola sposerà un uomo potente, ricco ma non bello.
Correlativi oggettivi della tragedia e del male incombente sono il tatuaggio, la caramella sporca che Alice è costretta a ingoiare, il suo esser resa zoppa da un incidente, i tagli sul corpo che accomunano Mattia e Alice. La tragedia ineluttabile incombe come un mostro lungo la narrazione filmica:
quella famelica sete degli occhi del mostro, interpretato dall'adulto che gioca alla festa dell'amico di Mattia, rappresenta il momento della tragedia stessa; da quell'attimo, che non fuggirà più, Mattia cerca di fuggire, di sparire ma chi scompare è Michela, che rimane ibernata o pietrificata in Mattia stesso.

Il mostro era, già all'inizio del film, rappresentato nel Minotauro ucciso da Teseo, nella recita scolastica della classe di Mattia, il quale ha il presagio della tragedia.


Mattia, percorrendo le stagioni della vita nel labirinto delle età fatto di ricordi e traumi che si susseguono come in quella passerella luminosa della scuola e, soprattutto, come in quella galleria buia e umida di pioggia che egli deve attraversare, avrà il coraggio di uccidere quel mostro che porta con sé.

Alice, come Arianna nel mito, lo aiuterà attraversando anch'essa quella selva oscura, quel fitto fogliame del tempo, fornendogli il suo filo che gli consentirà di ritrovare le soluzioni al problema della solitudine impostagli dalla tragedia.

Nel film, i protagonisti dopo sette anni si ritroveranno a Torino, città nella quale Alice è stata piantata in asso - o meglio: in Nasso, per riprendere il mito di Teseo.

Un ultimo enigma: non riuscivo a capire il nesso fra Bette Davis eyes di Kim Carnes e il film. Invece, ora mi pare chiaro, cristallino, proprio come gli occhi stessi di Mattia, o quelli glaciali, impressionati e impressionanti di Michela, così rappresentati nell'iperrealista quadro di famiglia, a mo' di fotografia. Quegli occhi sono cantati in modo suggestivo dalla voce di Kim Carnes il cui testo sembra descrivere proprio Michela:


I suoi capelli sono biondi
come quelli della Harlow
le sue labbra una dolce sorpresa
le sue mani non sono mai fredde
lei ha gli occhi di Bette Davis
lei metterà su la sua musica
tu non dovrai pensarci due volte
lei è pura come la neve di New York
lei ha gli occhi di Bette Davis
e lei ti prenderà in giro
ti metterà a disagio
farà del suo meglio per compiacerti
lei è precoce
e sa benissimo quanto ci vuole
per fare arrossire una prostituta
lei sospira come Greta Garbo
lei ha gli occhi di Bette Davis
lei ti permetterà di accompagnarla a casa
questo stuzzica il suo appetito
lei metterà su di te il suo trono
lei ha gli occhi di Bette Davis
lei farà una capriola su di te
lei ti farà rotolare come fossi un dado
fino a che ne uscirai triste
lei ha gli occhi di Bette Davis
lei ti esporrà, quando abbindola i tuoi piedi
con le briciole che lei ti lancia
lei è feroce
e sa benissimo quanto ci vuole
per fare arrossire una prostituta
tutti i ragazzi pensano che lei sia una spia
lei ha gli occhi di Bette Davis
e lei ti prenderà in giro
ti metterà a disagio
farà del suo meglio per compiacerti
lei è precoce
e sa benissimo quanto ci vuole
per fare arrossire una prostituta
tutti i ragazzi pensano che lei sia una spia
lei ha gli occhi di Bette Davis.

Questa bellissima canzone degli anni ottanta è un quadro nel quadro, una citazione che ancora pare rispondermi: Bette Davis fu una grande attrice famosa per i suoi occhi, che la resero famosa nel celebre film, da brivido, Che fine ha fatto Baby Jane?

E che fine ha fatto Michela per Mattia?
Dario Coppola



Hanno partecipato come comparse al film gli studenti del Liceo Alfieri e Filippo, nipote del prof. Coppola, nel ruolo di Teseo che uccide il Minotauro, all'inizio del film.

per vedere il nostro servizio andare al seguente link
http://lcquintiliano.blogspot.com/2009/12/lalfieri-set-cinematografico.html

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